lunedì 31 marzo 2008

logorrea

uno dovrebbe capire quanto l'esigenza di farsi ascoltare diventa una malattia, e curarla.

troppa merda


la rete fognaria della terra
ha i canali di scolo intasati

(ma c'è sempre
qualche spurgo
in cui sperare).

sabato 29 marzo 2008

ai giorni di grazia



oltre che un omaggio a domenico modugno, cresciuto a 7 km da qui, in questa terra battuta dalla primavera che mi accingo a lasciare a malincuore, la canzone è dedicata a vanessa, christian, mimmo e me.
perchè? il motivo è segreto e...meraviglioso:-)

sabato 22 marzo 2008

la primavera fa rumore di rami spezzati su cui spuntano gemme che daranno frutti diversi, in specie a noi



so che
sali sempre quelle scale,
di corsa o a passo lento
con le mani occupate
da una borsa
o scese lungo i fianchi.

so i gesti quotidiani
ripetuti,
il caffè del mattino
cercare le chiavi della macchina,
un parcheggio vicino,
aprire la portiera a qualcuno...

so che devi stare dove le tue dita
elargiscono carezze
e io pure
vado altrove, ma nel mio caso
non ho fretta...
non c'è nessuno che mi aspetta.

considero la pelle
un tessuto in prestito
ma con te, a dire il vero,
nemmeno mi è servita,
perché siamo stati
in luoghi che
ricordano
l'esistenza prenatale,
dove non c'è bisogno di toccare...

e in questo accompagnarsi per le strade di nascosto
tu sei stato quello che più mi ha dato gusto
sei quello in cui mi riconosco.
sei stato mani che rispondono all'appello
sei così...

impossibilitati




parole di cenere
uscivano dalla sua bocca,
parole buone per cospargersi il capo...
gesto inutile:
mancava il peccato.

tema del soldato eterno e degli aironi (è troppo grande il cielo per capirlo al volo)




è così:
niente a fendere
niente a difendere,
senzAmore

venerdì 21 marzo 2008



incantala
con le parole...
sussurra all'orecchio della tigre
qualcosa che la scuota,
rumori familiari
tendi un agguato,
soffia nell'orecchio
bràccala all'albero
dille tre o quattro cose,
quelle giuste,
e lei sta a posto.

martedì 18 marzo 2008

ex voto (a te)



Accade
che le affinità d'anima non giungano
ai gesti e alle parole ma rimangano
effuse come un magnetismo. É raro
ma accade.

Puó darsi
che sia vera soltanto la lontananza,
vero l'oblio, vera la foglia secca
piú del fresco germoglio. Tanto e altro
puó darsi o dirsi.

Comprendo
la tua caparbia volontà di essere sempre assente
perchè solo così si manifesta
la tua magia. Innumeri le astuzie
che intendo.

Insisto
nel ricercarti nel fuscello e mai
nell'albero spiegato, mai nel pieno, sempre
nel vuoto: in quello che anche al trapano
resiste.

Era o non era
la volontà dei numi che presidiano
il tuo lontano focolare, strani
multiformi multanimi animali domestici;
fors'era così come mi pareva
o non era.

Ignoro
se la mia inesistenza appaga il tuo destino,
se la tua colma il mio che ne trabocca,
se l'innocenza é una colpa oppure
si coglie sulla soglia dei tuoi lari. Di me,
di te tutto conosco, tutto
ignoro.

(scoperta stamattina. avrei voluto fosse mia, ma è di) Eugenio Montale


la notte (porta consiglio?)

lunedì 17 marzo 2008

fuori il temporale
fulmini a illuminare

è stato il temporale del mio cuore
più o meno come stavo
cielo sereno
sento montare piano
un rumore lontano
penso: sono le macchine da fuori
e invece arriva un fulmine sui fiori
cacchio senza parole
sentivo scatenarsi la forza del motore
che tutto move e tu sia il benvenuto
dammi elettricità, dammi un saluto

sono cadute pietre di ghiaccio dal cielo
come proiettili
e facevano rumore

domenica 16 marzo 2008

temporale

il temporale appena passato ha lasciato il cielo limpido e l'aria ferma.
mi capita di desiderare di sparire e di avere bisogno di silenzio, e

devo andare
in un'altra direzione
evitare il progressivo
precipitare delle cose
ascoltare la sua voce
aprire le finestre
bere cicuta e lasciar sedimentare le scorie
devo dare un senso al corpo in cui mi muovo
prendere la scossa
devo mettere insieme le ossa
i muscoli la pelle e le correnti alterne
che creano vortici

io non sto bene da nessuna parte
nemmeno dentro il mondo a parte
che mi creo

coup de foudre




- margherita, dove corri? non vedi che sta per arrivare il temporale?

- appunto...è il momento migliore per i colpi di fulmine!!!


a mio nipote, che al momento è lungo 2,5 mm ma cresce in fretta



non so che faccia farai, vedendomi.
non so nemmeno che faccia farò io.
ma ti prenderò tra le braccia, e ti sentirò mio.
e quello che ci sarà tra noi, anche a distanza,
avrà la sua importanza.

mercoledì 12 marzo 2008

cosa mi tiene in vita


sto appesa.
è tanto che sto appesa.

a un cappio.

anzi, ora che ci penso
dovrei essere già morta,

e invece...

to smother


ci sono giorni
che l'assenza di te
mi prende alla gola
e non
respiro

prima giornata di primavera

il sole

la tiepidità

mi fanno venir voglia di

fare

tante cose

ma sto qua

incuneata

tra un bi un bà.

martedì 11 marzo 2008

alternative


catrame e rifiuti da stiva, boe e barili di petrolio arrivati a riva come delfini spiaggiati, se ne stavano mischiati a depositi di conchiglie e alghe e ossi di seppia che, fossi stato piccolo (e cioè molto prima di scoprire che montale così aveva intitolato versi, buoni da spargere sull'anima, qualora fosse stata troppo asciutta), avrei utilizzato per decorare castelli di sabbia.
in lontananza, navi enormi pulivano le cisterne con l'acqua di mare, dopo averne svuotato il contenuto al petrolchimico di brindisi, o chissà dove.
questo era la spiaggia di cerano, in un giorno caldo di gennaio del 1995.

io e paola avevavamo vent'anni e poco altro: una macchina in prestito dai miei, e un sentimento che ci univa.
eravamo gli eroi assoluti di quel pezzo di deserto.
la vita, che sentivamo scalpitare dentro alle nostre gambe, era piena di lusinghe, e ancora tutta da inventare.

alla nostra sinistra, imponente come un'aquila d'acciaio appollaiata sulla costa, la centrale a carbone più grande d'europa - quella che porta il nome di un imperatore illuminato che, ci fosse stato ancora lui, mai l'avrebbe fatta - rimandava ogni tanto spettrali rumori che si sovrapponevano agli stridii dei gabbiani.
il pezzo di costa su cui ci trovavamo, senza quel mostro verde e nero, vista dal mare, sarebbe parsa piatta e quasi tutta uguale.
bella, nella sua selvatica amarezza.
"ma tu te lo immagini lo sbarco dei turchi? non doveva essere molto diversa la terra che si trovarono davanti....diversa da come è adesso, intendo."
"ma non c'era la qui presente, all'epoca...non so, come come la vuoi chiamare questa cosa che respira accanto a noi? il grande feretro?"
"ma paola, siamo abituati alle cattedrali nel deserto...questa è la terra delle cattedrali nel deserto!"
"cattedrale non è il nome giusto, perché di sacro non c'è proprio niente in questo mostro che ha occhi e bocca e naso e braccia semoventi che prendono e mangiano gli uomini. ma lo sai che ogni tanto qualcuno ci rimane secco?"
"no, non lo so. che è questa storia?"
"c'è che l'acqua del mare, utilizzata per raffreddare gli impianti, viene aspirata e poi buttata fuori molto più calda. i pesci pare che cerchino questo calore e allora se ne stanno tutti nei dintorni del mostro. i pescatori lo sanno, e vanno lì a prendere i saraghi e le vope e i polpi nascosti tra gli scogli. una volta un subacqueo ha sbagliato orario, o forse non lo sapeva che si sarebbero aperte le fauci, ed è finito aspirato dalle pompe idrovore. il mostro lo ha risputato, dopo due giorni, lessato".

all'epoca non sapevamo che quello non sarebbe stato il peggio.
avevamo la testa piena di eroi e di torri saracene diroccate, di speranze e di poesia.
ci dicevano che a coltivare saldi principi, a comportarsi correttamente, a dare onestamente il meglio di noi, avremmo trovato un pezzo di felicità.
e noi ci credevamo ciecamente.

per poco che ne sapessi di un sentimento così complesso come l’amore, io sentivo di provarlo per quella ragazza che sedeva al mio fianco.
i suoi occhi, a raccontare, si erano stretti in fessure, e mentre parlava non smetteva di fissare il mare.
il vento le scompigliava i capelli e lei lo lasciava fare.
guardavo il suo profilo, in rilievo sullo sfondo azzurro del cielo, e in mezzo al contrasto di quei colori netti, mi sembrava ancora più bella.
le presi il viso e la baciai.
rispose con la passione che le conoscevo.
non c'era una volta che non mi avesse voluto quanto la volevo io.
finimmo per fare l'amore lì, mezzi vestiti, scostandoli giusto quel tanto che sarebbe servito, aprendo gli occhi solo a controllare che non ci fossero sguardi indiscreti, cosa comunque probabile nel mezzo di una spiaggia, pure se era gennaio.

risalendo in macchina, mi disse:
"sai, mentre facevamo l'amore, ho aperto gli occhi e c'eri tu, e il cielo sopra di te, ed era tutto così meraviglioso, il piacere che si mischiava all'odore del mare, i gabbiani volare e non fregarsene niente di noi, come fossimo stati barche rivoltate sulla spiaggia, ovvero una cosa normale, e per me era come fare l'amore con te e con tutto quel pezzo di mondo...".
quando se ne usciva così, io mi sentivo piccolo e non sapevo che dire.
le sorrisi e la baciai.
sono uno che non trova quasi mai le parole, quando si tratta di questioni emotive.
a stare sopra o sotto di lei, facevo tutt'altro genere di pensieri, legati alla sua foga, al suo desiderarmi in quel modo così assoluto che non mi era capitato di trovare in nessun'altra. mi faceva sentire indispensabile.
e poi io aspettavo ogni volta il momento in cui avrebbe rasserenato la fronte dopo che aveva raggiunto il piacere, e allora sapevo che di lì a poco avrebbe sorriso, prima ancora di riaprire gli occhi, e in quel sorriso io stavo bene.

pensavo che forse avrei potuto amarla per tutta la vita.

per tornare a casa, avevamo scelto di non percorrere le vie consuete, ma strade sterrate tra i campi, che costeggiavano il nastro trasportatore del carbone, il quale avrebbe dovuto viaggiare, per 13 km, in binari protetti e coperti...ma vedevamo coi nostri occhi che non era così.
le piante di carciofi tutt'intorno, e la strada stessa, erano coperte da una patina nerastra.
“ti sembra normale, a te, tutto questo?”
“no, per niente, ma ci saranno dei controlli, lo sapranno cosa stanno facendo, no? magari non è una cosa dannosa per la salute….”
“non so. a me viene di non mangiarli più, i carciofi…”.
“sai che sforzo….non ti sono mai piaciuti molto…”
“no, la frittata di carciofi e i carciofini sott’olio mi piacciono, eccome!” e sorrise pure con gli occhi, come le veniva naturale.
ci venne fame.

qualche anno dopo, paola si ammalò.
un cancro ai polmoni che in pochi mesi la divorò.
aveva 28 anni, non fumava e non faceva un lavoro che potesse essere definito a rischio per questo genere di malattie: era insegnante elementare.

trascorse poche settimane dal funerale, un'inchiesta portata avanti da un periodico nazionale, se ne venne fuori con la notizia che le emissioni inquinanti di cerano erano tra le più alte d'europa, e che si era registrato un consistente incremento delle incidenze tumorali, nelle provincie a ridosso del mefitico camino di oltre 200 m che spurga ossidi di azoto e che, in una terra piatta come questa, si vede a km lontano.

un bazooka puntato contro il cielo.

sono trascorsi 5 anni, e io torno ancora a quella spiaggia, sempre d'inverno, come allora.
non posso farne a meno.
non ho alternative.
mi distendo e chiudo gli occhi, e se sono fortunato e riesco a liberarmi il cervello dal ricordo del suo corpo consumato, mi sembra di sentirla, come allora, paola, viva e forte, su di me.
solo noi due, come barche rivoltate.
sto così per un tempo indefinito. forse è qualche minuto, forse di più. non ho fretta di niente.
quando riapro gli occhi, vedo il cielo, e i gabbiani. sembra tutto immutato.

l'aquila d'acciaio, a pochi metri di distanza, ancora in pieno regime di attività, spalanca le sue fauci e mi sorride.

lunedì 10 marzo 2008

taranto, 10 marzo 2008


papà perché hai preso il martello
non vedi che
non ho la forza di difendermi da te?
papà io ti amo
tu mi tenevi sempre sulle gambe
non posso credere che hai ucciso mia sorella
e sei stato veloce
è successo così rapidamente
tutto quel sangue
a me non fa paura, il sangue...
volevo fare il medico, come te.
perché mi fai questo papà?
perché hai legato la mamma al letto e lei grida
e non è un gioco?
perché hai negli occhi
uno sguardo che non riconosco?
sei tu il mio papà?
perché nessuno interviene
se sentono urlare?
perché questo menefreghismo generale?
come è possibile che ci stai uccidendo
a tutte e tre
e nessuno che venga a bussare?
papààààà
papààààààààà
ti ricordi quando mi tenevi in braccio?
ti ricordi quando mi dicevi che ero il tuo tesoro?
tu mi hai voluto e adesso tu mi uccidi
con una martellata
come se fossi una bottiglia da rompere
o avessi un chiodo bello grosso da piantare
al centro della testa
papà tienimi stretta
ora che sto per morire
io sto ferma
così fai prima
e mi faccio meno male
voglio la mamma
voglio mia sorella
se esiste un paradiso
io le rivedrò
ma a te,
papà,
a te, papà, non so....
forse ora che ti ammazzi
muore il mostro
e tu puoi venire in paradiso insieme a noi
andremo ancora insieme come un tempo
sul lungomare a vedere il tramonto.

venerdì 7 marzo 2008

milano-lecce (suicide)

mercoledì 5 marzo 2008

l'ingiusta punizione non viene dal cielo ma dagli uomini, che della grazia racchiusa in un gesto ne sanno quanto un pollo di particelle elementari.


lo splendido isolamento in cui luisa rossi si era chiusa, somigliava alla cella frigorifera di una macelleria: pezzi di carne squarciati e col sangue ormai rappreso giacevano da giorni appesi a grossi ganci ricurvi accanto a lei.
costati, lombate, guanciali, filetti, ventresche, muscoli e pericardi, lingue, cartilagini e ossa da spolpare: non le faceva nessun effetto pensare che, tolti i primi strati di pelle, siamo tutti uguali, uomini e animali.
luisa rossi, dapprincipio, al chiuso di quel luogo angusto, provò ad urlare per farsi sentire, ma nessuno nei dintorni sembrò udirla, o forse non aveva sufficiente voce in gola, o forse si era sbagliata e le era solo sembrato di gridare.
si abituò all'odore putrescente nelle nari, e provò a nutrirsi di carne gelida che succhiava come si succhiano i ghiaccioli e i cazzi duri, ma risultò indigesta.
attendeva con pazienza.
sapeva che sarebbe stata questione di tempo e poi il sangue le si sarebbe ghiacciato nelle vene impedendole il pensiero e di sentire qualsiasi sensazione e soprattutto qualsiasi sentimento, ed era proprio quello...
che aspettava.

domenica 2 marzo 2008

penelope, l'amico e l'agape



- sei pallida, non hai energie.
- tu dici?
- si, sembri sfiduciata, svuotata.
- sono stanca.
- ma c'è altro...
- be', sono anni che nessuno mi tocca.
- in che senso?
- in senso proprio.
- vai con il primo che ti capita.
- incontro solo proci. e poi non mi interessa. è altro che aspetto.
- e intanto tessi e attendi, disfi e speri.
- te ne sei accorto?
- penelope, tu porti fedeltà a un ideale.
- probabile, si. avrei dovuto arruolarmi nell'esercito, forse, ma ormai è tardi.
- se continui così ti rompo il telaio!
- provaci...

ossigeno




in un barattolo
tappato,
trasparente,
pensieri come mosche
scambiano il vetro per la libertà.

prendono la volata
e vanno a
sbattere.

questo,
finché non finisce l'ossigeno.

sabato 1 marzo 2008

neologismi


dopo aver appreso dell'esistenza di questo:
http://crewstyle.altervista.org/index.php?option=com_content&task=view&id=130&Itemid=29

piero manzoni vedrà la sua opera svalutata, le generazioni future saranno dalla più tenera età preparate a quello che le aspetta, e per me finalmente non ci saranno più giornate di merda, ma giornate di....cacù.
e oggi è una di quelle.