giovedì 29 novembre 2007

l'ultimo dei capillari



cammino guardando la punta delle scarpe e mi sembra contenuto lì tutto l'avvenire a mia disposizione.
un passo dopo l'altro, inciampo senza dare nell'occhio e mi rimetto in carreggiata.
la strada è una lunga linea retta e il mio elettrocardiogramma segue la strada.

stamattina in metropolitana il vecchietto vicino a me sapeva di alcool e giocava a fare le palline con i mocci del naso. poi me li tirava addosso. a un certo punto si è pisciato lì seduto all'ultimo posto dell'ultima carrozza di un treno qualsiasi direzione sesto.
è sceso alla fermata di piazzale loreto, in lacrime.

a loreto ci sono tre medicanti nel passaggio che va dalla rossa alla verde. sono tutti e tre suonatori di fisarmonica e tutti e tre hanno un arto amputato, oppure entrambi. stanno lì immobili coi moncherini cicatrizzati e sporchi e le stampelle poggiate per terra e gli abiti lisi e un contenitore di plastica o un cappello per raccogliere le offerte. guardano in volto, e salutano. sono io la codarda che abbassa la testa.

la codarda la faccio anche davanti al cieco o alla signora di circa settanta anni, che quasi ogni giorno si mette un fazzoletto in testa, si porta la seggiola da casa e sta lì, a un sottopasso dal duomo. non chiede nulla ma solo aspetta che qualcuno si accorga di lei e delle sue immaginette di santi che cede in cambio di qualche offerta, certa com'è che serviranno a spianare la strada del regno dei cieli. del cieco si vede che è veramente cieco perché ha l'iride rivoltata all'insù e trova sempre luoghi a ridosso dei muri dove sta in uno strano equilibrio con il suo bicchiere proteso sui passanti; e forse non mi vede ma sono certa che riconosca tutti i frequentatori abituali del suburbio metropolitano dall'odore. di me lo saprà che sono quella stronza che non gli dà quasi mai i soldi.

saltello come chi si trovi a dover fare continui slalom che servono a evitare le merde ma non certo gli sputi e in tutto questo ho gli occhi appannati da un fantasma che vuole conoscermi meglio e probabilmente anche io voglio la stessa cosa.

così sei il sangue che arriva a irrorare le periferie del regno
e io mi sento l'ultimo dei capillari

mercoledì 28 novembre 2007

nel tuo abbraccio



ho un pugno pieno di mosche
e qualche altro sentimento controverso,
che lascerò liberi
prima che mi muoiano in mano,
come è accaduto adesso.

martedì 27 novembre 2007

TO BE OR NOT TO BE, THAT IS THE QUESTION



- A QUALE VERITA' DEVO CREDERE?

- A QUELLA CHE RITIENI PIU' INCREDIBILE.

lunedì 26 novembre 2007

modi di dire

- ma tu mi ami?
- ....
- mi ami?
- è una domanda inutile...
- io ho bisogno di saperlo.
- ma perché? non ti basta quello che...?
- no.
- ma quando ti dico che io e te ci si stringe e si suturano i laschi, tu che capisci?
- ....mmmm....io cosa capisco se mi dici che ci si stringe e si suturano i laschi?...io che capisco...?...che capisco?...capisco che hai ragione tu....stringimi, amore...stringimi che suturiamo.

l'umore tiene?



"signorina mi aiuti...mi sento solo, mi tenga vicino"
"signore, lei è ben strano a chiedermi questo."
"io sarei strano? ma lei si è vista, con quella cravatta?"

domenica 25 novembre 2007

quasi piena...


era domenica.
l'abbiamo trascorsa tutta sotto le lenzuola a leggere, mangiare cioccolata, bere succo di mele e fare l'amore.
il succo di mele non è il suo whiskey preferito ma ci ha ubriacati lo stesso.
era caldo.
era caldo l'amore mio e ho fatto quello che avrebbe fatto qualsiasi donna innamorata: bendarlo.
il resto è stato parole sussurrate e tocchi da indovinare e gemiti liquidi e sussulti e volare e spogliarsi di ogni pudore.
l'ho visto per un momento felice.
poi siamo rimasti così a parlare, toccarci e andare e venire.
a un certo punto abbiamo osservato il cielo, e dopo giorni coperti, si è mostrata la luna.

sabato 24 novembre 2007

dal di fuori, tutto questo sembra un giallo.
ma da dentro?

inno alla vita in un giorno di novembre (ho fatto del mio meglio)

posso vivere una vita al condizionale presente: una vita piena di vorrei, potrei, farei...oppure al condizionale passato: avrei voluto, potuto o fatto...che cosa?
rimangono azioni inespresse.
rimangono mani che non si sono aperte.
rimangono esperienze non tentate.
l'unico tempo tollerabile, al condizionale, è il futuro.
infatti non esiste.



però tu
in questo incedere ipotetico
non ti stancare di camminarmi accanto.
se corro allunga il passo
oppure aspetta,
che rallento io...
concedimi un rifugio
fammi arrossire
e fammi bere dal tuo bicchiere.
e poi
attraversa le persiane
chiuse
e filtra
come il sole d'estate
in questa stanza al primo piano
in cui
aspetto il mio turno.

ho smesso di contare le vittime
quando ho capito
che non si muore veramente,
ma questo non mi evita
lo strazio che comporta
la partenza.

e invece,
la tua presenza aiuta.

venerdì 23 novembre 2007

per n. e per x.

ieri dopo il lavoro sono passata allo spazio oberdan e seduta dalla parte dei salottini ho aspettato per mezz'ora che tu scendessi dalle scale mentre fingevo di leggere con interesse il numero di ottobre della rivista della provincia di Milano e il programma con gli spettacoli del circuito teatrale.
ho pensato che forse a pelle ti avrei riconosciuta.
o dalle sigarette.

mi sento appesa a una fune
tenuta su da un gancio
fissato al cielo...
l'etereo cielo.

e il cielo è lui.

giovedì 22 novembre 2007

i peccatori universali

io sto pensando di andarmene.
prendermi una pausa da me stessa e andarmene.
dove, non lo so.
sarei sempre con me, però potrei fare finta di essere un'altra.

una ladra di polli, magari.
ci vuole prontezza di riflessi e agilità per fare la ladra di polli.
se pure riuscissi a superare lo steccato che separa dalle gabbie, sarebbe il pollo a farmi fessa.
basterebbe che agitasse un po' le penne perché io mi spaventassi lasciandolo sfuggire dalle mani e a quel punto lui avrebbe recuperato la libertà e io l'avrei persa a causa del fattore che svegliatosi per gli schiamazzi prontamente mi consegnerebbe alle forze dell'ordine.
i carabinieri che se ne farebbero di una ladra di polli rinchiusa nelle patrie galere fin troppo stipate di malviventi d'altra fattura?
probabilmente mi utilizzerebbero come acchiappamosche nei pomeriggi afosi.
e io sarei costretta a battere le mani tutto il tempo fino a farle diventare rosse ma nel frattempo mi sarei allenata a dare schiaffoni che è un'arte che può sempre tornare utile nella vita, specie contro i malintenzionati.

che poi non ne ho conosciuti pochi di malintenzionati.

sui treni quando viaggiavo di notte una volta mi trovai addosso le mani di uno sconosciuto; quell'altra volta per strada ero ferma al semaforo e uno mi palpeggiò il culo, con una certa delicatezza, devo dire, in mezzo ad altra gente e io ero così tanto in buona fede e così tanto convinta di non poter risvegliare alcuno stimolo sessuale vestita com'ero, da pensare che quel tocco fosse stato determinato dalla mia gonna smossa dal vento che ricadeva sulla chiappa.
quando mi resi conto che non un refolo soffiava e che questo tipo mi stava alle spalle a una distanza anatomicamente pericolosa, scattò il verde e lui si dileguò nella notte e io rimasi con un improperio che si disperse a mezz'aria.

un'altra volta sempre nel treno, quello che gestiva il bar, con la scusa di farmi fumare una sigaretta nel bagno di servizio che utilizzavano loro, mi saltò addosso e io dovetti dirgli che ero fidanzata e fedelissima per togliermelo di dosso, al ché lui colto da lieve senso di colpa nei confronti della sua (vera) fidanzata disse: "che c'entra, anche io..." e quindi non negandone l'esistenza (allora si che sarebbe stato stronzo) ma solo pensando che non ne avrebbe mai saputo niente e quindi non ne avrebbe sofferto, ripartì alla carica e io dovetti spiegargli com'è brutto prendersi gioco delle persone.
sarebbe potuta essere una sveltina nel cesso delle fs, e oggi avrei potuto raccontarla se non ai miei nipoti, almeno a quelli di qualche conoscente, ma grazie al fidanzato invisibile l'ho evitata. però lui si sentì in dovere di offrirmi un pezzo di torta e la cioccolata.

oppure quella volta, avevo 5 anni, che entrata nella chiesa vuota vidi un vecchio della locale casa di riposo, uno che sembrava pure mezzo rincoglionito, solo tra i banchi e io per gentilezza, perché così mi avevano insegnato dalle suore, a rispettare tutti e a consolare gli afflitti, sedetti accanto a lui.
quello mi disse di avvicinarmi e io, che ero già a mani giunte, in men che non si dica mi ritrovai le sue, grezze e pelose, nelle mie mutandine coi pupazzi colorati.
non è che fui capace di gridare...
non mi rendevo conto di quello che stavo subendo sotto la statua benedicente di nostro signore. dissi solo: "me ne voglio andare". guardandolo negli occhi glielo dissi, questo me lo ricordo, e i suoi occhi erano poco più che fessure che non permettevano che se ne intravedesse la pupilla e certo non il colore ma a me sai che me ne fregava del colore. quello mi lasciò scappare e io mi feci pure il segno della croce con l'acqua santa e poi l'inchino prima di uscire e però una volta fuori il senso del peccato si era già insidiato in me perché sennò l'avrei raccontato a mio padre che aspettava al bar con i suoi amici ma non gli dissi nulla che avrebbe potuto pensare che me la fossi cercata sedendomi così vicino a lui.
così a cinque anni io non persi la verginità, ma l'innocenza si.

se io prendessi questo periodo di ferie da me potrei spacciarmi per una venditrice di aspirapolvere ed entrare nelle case degli altri e vedere come vivono la vita. la mia è una vita a cottimo dove le pecorelle che conto prima di addormentarmi sono in realtà locuste con le quali fatico a spiegarmi e quelle che mi capiscono dopo un po' smettono di ascoltare.

ci sono panorami bellissimi che se troppo osservati diventano scontati e di cui tu ti stanchi. io però del cielo azzurro quando stavo ad altre latitudini non mi stancavo mai perché non era un cielo piatto ma cangiante.
invece quello grigio di milano finisce per colorarmi il cuore di analogo colore e c'è poco da fare se non aspettare che passi, ma è lunga da fare.

questa storia non è che volesse giungere per forza a una conclusione; è che è stata una giornata forte da attraversare e pure il video che ora si è improvvisamente rabbuiato come il viso di una che conosco vuole solo significare che c'è un virus da qualche parte che sta agendo di nascosto o che è così che le cose devono andare e cioè che qualcuno ad un certo momento spegne la luce e ti dice che è ora di andare. non è vero, amore?

mercoledì 21 novembre 2007

guardami, anzi no.



quando ho trovato
quello che cercavo
nei tuoi occhi
i tuoi occhi
non stavano certo
in un universo
parallelo

prospettive prospicienti



verrà un giorno,
forse,
in cui non avremo più nulla da dirci
e da darci.
ma quel giorno
non è oggi.

ti sto cercando



una volta ho sognato il mio funerale.
io ero in alto, e vedevo la gente che mi vuole bene, piangere.
allora ho pianto anche io. non perché fossi morta, ma per quelli che piangevano per me.
non volevo che provassero dolore.
tentavo di dirglielo ma non mi riusciva di parlare.
e allora ho sciolto le grida in lacrime e così si sono fuse alle loro e una calma morbida ci ha attraversati tutti. nei sogni questo è possibile.

se potessi scegliermi una morte, sarebbe quella che fanno certi anziani in buona salute, nel sonno, quando tutti più o meno se l'aspettano che tu stia per andartene, perché sei vecchio, ma intanto stai bene, godi ancora di autonomia e ti sei messo l'anima in pace con dio o chi per lui. immagino che a una certa età subentri anche stanchezza di vivere, per cui, non dico che te lo auguri di partire, ma quasi.

visto però come vanno le cose, la probabilità di terminare i miei giorni così sono scarse.

per cui, pur sapendo che la signora con la falce se ne fotterà altamente delle mie elucubrazioni, mi sono chiesta spesso se preferirei morire di morte annunciata o di dipartita fulminea e inaspettata.
entrambe hanno lati positivi e negativi.

la morte annunciata mi permetterebbe di salutare tutti. cercherei di non lasciare niente in sospeso, direi "ti amo" a chi amo e "mi sei sempre stato sul cazzo" a chi non ho mai avuto il coraggio di dirlo. però reca con se maggior dolore, obbliga a convivere con una bomba a orologeria dentro che sai che prima o poi scoppierà, e nell'attesa ti mina il corpo e la mente fino a non riconoscerti più.

la morte fulminea e inaspettata è quella che non ti fa terminare la sigaretta e non ti dà il tempo di controllare se hai le mutande pulite. è quella che vuole tutto e subito. forse farei in tempo a dare "un ultimo sguardo commosso all'arredamento, e poi chi s'è visto s'è visto...", ma senza salutare. "ehiiii....vi amo e vi amerò sempre, addio tesori miei qui presenti davanti a me e stranamente in fila per tre". ma quelli non lo sentirebbero. io sarei già lontana prima ancora di terminare la frase.

la verità è che non lo so come accadrà. la verità è che me la sento appollaiata sulla spalla, come bene ha detto colui che ho pudore a nominare, e la eludo come posso, ma mi aspetto che da un momento all'altro apra le ali, spicchi il volo e mi sollevi per la collottola.
e allora ciao, signori, ciao, pure se questo non è un commiato anticipato...

...queste cose le scrivo perché adesso io vorrei essere vicino a nadia.
vorrei passare del tempo nel suo studio di seregno a farmi raccontare la sua vita e raccontarle la mia.
vorrei fare con lei quello che fanno di solito le donne insieme: riscaldarsi.
vorrei accarezzarla e farla ridere.
vorrei che fossimo ciniche e nud'e crude ma pure patetiche e tenere e molli.
vorrei vedere i suoi occhi e poterli ricordare.
vorrei condividere il suo dolore.
vorrei dirle che c'è qualcuno che ci attenua la caduta.
vorrei che mi dicesse: "ehi, ti ho raccontato una puttanata" e prenderla a botte ma dopo fare pace.
vorrei sapere, adesso, dove cazzo è.

martedì 20 novembre 2007

la lucidità di ofelia



è tardi e non dormo.
non dormo e non scrivo.
contemplo la stanza nella luce arancione
che rimanda il vecchio lume.
e penso.
e mentre penso,
(è a te che penso),
io sorrido
e mi sento sul viso
la felicità beata
dei bambini quando dormono
o quella beota che hanno i folli
quando inseguono
misteriosi e fondamentali pensieri
che sanno solo loro.

meteo

è prevista una attenuazione del freddo

lunedì 19 novembre 2007

niente è come è, niente è come sembra



tutto quello che ho scritto, lo devo a te.

la vitalità e la pienezza che ho provato, le devo a te.

il tempo non ci definisce, lo spazio non ci colloca.

l'amore che attraversa le distanze, pure lo devo a te.

tu mi hai fatto credere
che non mancasse niente
alla mia felicità.

domenica 18 novembre 2007

et quod vides perisse...




Che ha il tuo diletto di diverso da un altro,
perché così ci scongiuri?

Tutto.

lasciataepersa

- avvocato, le cose finiscono, o meglio, si evolvono. io sono qui da lei perché con me stessa non ci voglio più stare, e quindi le chiedo di intentare una causa di separazione.
- ma, signora, si rende conto di quello che mi sta chiedendo?
- certo, e non capisco perché fa quella faccia.
- signora, nessun tribunale prenderebbe in considerazione questa richiesta. non è contemplato da nessun codice o legge di separarsi da se stessi. non abbiamo un precedente, non c'è letteratura sul caso. cosa mi sta chiedendo?
- avvocato, io sono dissociata e dotata di personalità multiple. mi faccia divorziare da me stessa.
- ma esattamente da quale se stessa vuole separarsi?
- da quella ancora innamorata di lui.

la ragazza è rimasta immobile ma al suo interno è successo di tutto



tu
non puoi
lasciarmi su un marciapiedi,
sotto la pioggia,
senza impermeabile e
senza parole,
per poi tornare e dirmi che sei tu
ad esserti bagnato.

eppure sei bagnato.

sabato 17 novembre 2007

sogno n. 3



ho dormito per un'ora soltanto
e in quell'ora ti ho sognato:
tu parlavi e io non riuscivo a capire
e mi sono svegliata di colpo
e forse era meglio
se restavo a dormire.

sai?

- Sai per caso com'è in casa? Se usa le pantofole di pelle (stile mio nonno) o le de fonseca ultramoderne? Se indossa un pigiama o dorme nudo? Se gli piacciono gli spaghetti o la pasta grossa? Se si scaccola in macchina mentre guida?

- No, non lo so.

one day i've lost my sugar

la luna è in fase crescente
e io, latente,
mi attengo strettamente
al corso innaturale delle cose.

lugete veneres cupidinesque

se tu fossi d'acciaio
e io di giunco
sarebbe certo che
ciò che ti ha scalfito
a me mi ha devastata.
ma se fosse stato mare
quello che abbiamo attraversato
può essere che tu sia sprofondato
e io, rimasta a galla
per cause di forza maggiore,
rechi con me un dolore
che fa rumore dolce di risacca.



per chi se la vuole cantare (io si):

RICHARD ASHCROFT
A Song For The Lovers

I spend the night
Yeah looking for my insides in a hotel room
Waiting for you

Were gonna make it tonight
Yeah something in the air tells me the time is right
So we'd better get it on

And DJ, play a song for the Lovers, tonight
Please, play a song for the lovers, tonight

Don't wanna wait
Lord I've been waiting all my life but I'm too late again
I know but I was scared

Can't you see
I'm moving like a train into some foreign land
I ain't Got a Ticket for this ride but I will

Ooh, play a song for the Lover, tonight
DJ, play a song for the Lover, tonight
DJ, play a song for the Lovers, tonight
Please play a song for the Lovers, tonight

Can't stop looking back no no

One more for the lovers

Oh brother won't you lend a hand I'm alone in a room and I'm waiting for love I don't know when this trains gonna stop But I'm telling you friend I don't want to get up

venerdì 16 novembre 2007

the god and the father II

per rimanere in tema di god and the father, riporto di seguito il link di uno stralcio di articolo di Carlo Maria Martini, pubblicato oggi sul corriere della sera.
la versione integrale si può trovare sul numero 4 di "Kos", rivista bimestrale del San Raffaele di Milano, prossimamente distribuita nelle libreria.

http://www.corriere.it/spettacoli/07_novembre_16/ateismo_martini.shtml

the god and the father



se questo mondo fosse giusto, allora la zingara che incontro al mattino e che canta nei treni della rossa con voce suadente e mi saluta gentilmente anche quando non tiro fuori un cent, dovrebbe esibirsi su un palcoscenico con tanto di orchestra.
la canzone è sempre la stessa, e forse non è un caso :-):


the godfather - patrizio buenne

parla più piano e nessuno sentirà,
il nostro amore lo viviamo io e te,
nessuno sa la verità,
neppure il cielo che ci guarda da lassù.

insieme a te io resterò,
amore mio, sempre così.

parla più piano e vieni più vicino a me,
voglio sentire gli occhi miei dentro di te,
nessuno sa la verità,
è un grande amore e mai più grande esisterà.

insieme a te io resterò,
amore mio, sempre così.

parla più piano e vieni più vicino a me,
voglio sentire gli occhi miei dentro di te,
nessuno sa la verità,
è un grande amore e mai più grande esisterà.

giovedì 15 novembre 2007

9mber



è freddo.
è notte e freddo.
foglie secche come mani screpolate.
- da quanto tempo non ti fai una foto?
- non me lo ricordo.
- mettiti in posa...
- lo spettacolo di servillo è tutto esaurito.
- ti sembra una buona notizia?
- no, amica, no, visto che non abbiamo i biglietti.
- pensavo di tagliare i capelli.
- buona idea.
- perché, sto male così?
- no, ma nelle donne le rivoluzioni cominciano tutte dai capelli. solo in qualche caso dai cappelli.
- per quanto mi riguarda, lì cominciano e lì finiscono.
- lui che dice?
- non dice.
- e tu?
- io dormo in piume dure.
- sai che non capisco le metafore
- non sono metafore. sono metà fore e metà intra.

mercoledì 14 novembre 2007

rianimazione



sospendi le trattative
fingi che non sia mai esistita
permetti ai barbari di devastare il regno
eclissati
guarda striscia la notizia
bacia chi ti tiene caldo il letto
sorridi falso/felice
cammina con la testa obliqua
indossa i tuoi occhi da puttana
vai a caccia di cappuccette sceme
metti gli abiti di 7 diversi protagonisti ma poi
creati un eteronimo che viva la tua vita per te
bevi il tuo stesso seme
bevine fino a dimenticare
pulisci la canna della pistola
sacrifica l'agnello
guardati allo specchio di sfuggita
comportati come se riflesso non ci fosse nessuno
spiega le ragioni del diritto
trovati un alibi che regga
annegami nel cemento
giravoltati e dai un calcio in culo al cielo
quando atterri, dallo pure alla terra.
toccami le corde.
e se non si muovono,
ritoccami le corde...

martedì 13 novembre 2007

la lucidità di amleto

povera scema

sono
una povera scema,
amore mio.
una che ti sente
arrivare alle spalle
e quando si volta, con gli occhi illuminati,
non trova nessuno

lunedì 12 novembre 2007

legàmi




non tiene più
la fune sfilacciata
della trapezista
al circo Argento,
quella che si esibisce senza rete,
perché così le chiede
il produttore...
ma lei lo fa soprattutto per amore
del domatore
di tigri del bengala,
lo stesso
che adesso
se la ride
e attende,
accanto alla sua bestia striata,
- docile perché addomesticata -
che la bella venga giù dall'altalena
con tutte
le sue piume colorate.
lui, prima di andare al suo cospetto
a godersi lo spettacolo da sotto
ha tagliato la corda
e poi le ha detto
"non temere
sono qui che ti aspetto".

le parole si incastrano tra noi e tu stai nel sepolcro e poi risorgi ma ogni volta io mi spezzo



abituati a reiterati abbandoni
ce ne stiamo zitti
sulle scale della chiesa
dove si svolge il funerale del poeta.
lui è morto
ma i versi rimarranno eterni.

soffia un vento da film western ed è novembre.

margherita pensa e tiene ferma la veletta
con la mano:
"tu adesso come stai?
"bene"
"si? mi fa piacere. ma...volevo dirti...è la centesima volta che lo fai".
"che cosa?".
"niente, scusa. riposa in pace e amen".

domenica 11 novembre 2007

sabato 10 novembre 2007

io non rimango sveglia fino alle 5 del mattino per il gusto di spararti



siamo fatti di molecole sparse
che cercano una strada per congiungersi.
io posso stare nel tuo taschino
e pure nel tombino.
tu stai nelle sigarette che mi fumo
e fumo molto.
l'acqua tumultuosa e calda
che ci sta attraversando
darà una ripulita a queste stanze,
e a noi ci lascerà nudi
e senza pelle
con in mano carezze che,
toccando sul vivo,
fanno male.
ma pure nel dolore,
io sono destinata a cercarti,
come si cerca
una perla nascosta
tra cumuli di scarichi del mondo occidentale,
e tu sei l'unico che mi raccoglierebbe,
fiore curvo e scuro,
in mezzo a un campo di grano e di papaveri,
trovandomi
il più bello.

venerdì 9 novembre 2007

before...

mancano quattro ore alla fine del mondo.
almeno per oggi.

la tigre al domatore

dovresti mettere in discussione
la mia imperturbabilità.
io ho le unghie tagliate corte
solo per impedirmi di graffiare.

credo

io credo a quello che sento
e quello che sento sei tu
"terranno le mura?" chiese il soldato mentre staccava la spoletta della bomba a mano che stava per lanciare nella casa.
"che cazzo di domanda", rispose il sergente.

mercoledì 7 novembre 2007

l'amore ai tempi del colera



ci sono amori che durano 1 settimana.
altri vanno avanti per
53 anni 7 mesi e 11 giorni,
notti incluse.
altri ancora,
riescono ad attraversare lo spazio,
il tempo e la malasorte,
sfondano il muro del suono,
superano la velocità della luce,
la forza delle maree
e la fossa delle marianne,
e quindi
se ne sprusciano
dell'eternità.

martedì 6 novembre 2007

non è indispensabile che ogni cosa passi attraverso di te, ma di fatto è questo che avviene.
la gente pensa di vivere vite da romanzo e forse è vero e sono i romanzi che non sanno raccontarle.
"ammazzami"
"perché?"
"sennò lo faccio io"

tu m'ispiri



li sento cinguettare, i primi uccelli del mattino:
cominciano la loro giornata
che io ancora devo portare a termine la mia.
ne varrà la pena?
finora la risposta è stata si.

buonanotte, amore mio.

ho perso la strada di casa



"è come se tu avessi paura della felicità" fece lei.
"forse è così"
"anche per me è così: il prezzo da pagare, il senso di colpa e il resto, ma... tutto questo non lo abbiamo cercato...perché dovremmo essere puniti per qualcosa che non abbiamo chiesto? forse era già scritto da qualche parte che io e te...e poi..poi lo sai, ci sono cose che non dipendono da noi...".
"altre, però, si".
"altre si, lo so...".
abbassò lo sguardo. dove fossero diretti i suoi passi, lei lo capì.
"non ti dimenticherò mai", pensò.

lunedì 5 novembre 2007



in qualche posto,
una croce,
con sopra inciso il mio nome,
sta aspettando
che anch' io faccia
la mia parte.

il cielo è di lattice e io sono lubrificata



la portinaia è sguaiata e grida
quando parla coi vecchi
mezzi sordi del palazzo.
io la sento da dietro la porta
e sarei pronta a saltarle al collo,
facendola pentire
di aver dimenticato
la primordiale gentilezza;
ma non voglio muovermi da qui,
perché stanotte ho dormito con
il re del mondo
e lui ha lasciato pezzi di carne calda
e liquida
tra le mie gambe
insieme a
una stella marina
che brilla intermittente
di luce al fosforo
e che prima o poi
verrà a riprendersi.

sabato 3 novembre 2007

ciao amore, ciao



Alle sette, nella casa silenziosa, si avvertiva solo il rumore dei radiatori che andavano riempiendosi di acqua e cominciavano a diffondere calore.
Teresa fumava una sigaretta dietro l'altra, in attesa che arrivassero le nove.
Aveva pranzato solo due ore prima, per cui scartò l'idea di ingannare l'attesa cucinando.
Accese il televisore, ma i titoli del telegiornale le provocarono un lungo sbadiglio.
Ancora un'ora, e avrebbe cominciato a prepararsi.
Rivedere Luigi, non le causava alcun batticuore.
Erano lontani i tempi in cui la vestizione cominciava almeno due ore prima e lei curava ogni particolare con attenzione.
Il rituale cominciava con un bagno, molto caldo e profumato.
Riempiva la vasca fin quasi all'orlo, poi si spogliava, senza riporre con cura gli abiti, e si immergeva nella schiuma sopportando la leggera scottatura che le causava la temperatura troppo alta.
Sapeva che avrebbe dovuto resistere qualche secondo, poi il corpo si sarebbe adattato e quel calore avrebbe rilassato i muscoli.
Metteva la testa sott'acqua e rimaneva così, fino a che non le mancava il fiato.
Quando riemergeva, restava con la testa appoggiata al bordo della vasca per un po', e nel frattempo osservava il suo corpo.
Si passava una mano sui fianchi e sul ventre, e si guardava i seni, abbondanti, che galleggiavano con le areole a pelo d'acqua. Queste, riducendosi per il freddo, venivano a formare come ruches di tulle intorno ai capezzoli, che si indurivano fino a fare male.
In quel blando dolore, Teresa pregustava il piacere che la vicinanza del corpo di Luigi le avrebbe concesso di lì a poco: il desiderio con cui lui l'avrebbe cercata una volta entrata in macchina; la facilità con cui lei avrebbe ceduto a voglie impetuose e ferine che erano pure le sue.
Le piaceva quando lui, guidando, le teneva la mano in mezzo alle cosce, togliendola solo per cambiare marcia, e riposizionandola subito dopo.
Le piaceva quando la portava a mangiare in ristoranti appartati e dalle luci flebili, e ordinavano cose diverse per assaggiare i cibi, e terminavano una bottiglia di vino, a volte anche due.
Si guardavano negli occhi tutto il tempo, e parlavano.
Qualsiasi argomento sembrava essere pretesto per una discussione, mai animata, piuttosto uno scambio di opinioni, piacevole e, man mano che l'alcool saliva alla testa, sempre meno lucido.
Poi tornavano a casa e facevano l'amore, dedicandosi tutto il tempo necessario, oppure, se fossero stati stanchi, rimandando il tutto alla mattina dopo, quando, all'alba, si sarebbero svegliati nudi l'una accanto all'altro, e il resto sarebbe venuto da sé.
Luigi amava sentire il corpo morbido di Teresa addosso, il profumo della sua pelle, e a lei piaceva sentire i muscoli di lui tendersi e il cazzo indurirsi solo in virtù di una carezza.
Questo accadeva una volta alla settimana, di solito il mercoledì, quando lui, adducendo, come scusa, improbabili riunioni fuori città, al mattino salutava la moglie con un bacio sulla guancia, e la figlioletta con una carezza, per ritornare, nella casa che condivideva con loro, solo il giorno dopo all'ora di cena.
A Teresa, quella notte vissuta in semi-clandestinità, con l'unico uomo al mondo con cui le sembrava di avere qualcosa in comune, era sufficiente.
Per il resto della settimana, continuava la sua vita fatta soprattutto di incombenze lavorative, oppure si dedicava alle sue passioni: gli origami, per esempio, antica arte giapponese nella quale aveva raggiunto discreta abilità, considerato il fatto che aveva cominciato a praticarla solo un anno prima, grazie ad un corso organizzato dal comune, al quale si era iscritta soprattutto per noia.
Adesso, nell'attesa che lui arrivasse, aveva creato, con la carta argentata del pacchetto di sigarette terminato, un pesciolino, e questo quasi meccanicamente, senza rendersene conto; pensò di regalarglielo.
Ripercorrendo la loro storia, non riusciva a individuare il momento in cui quella grande passione, unica a sentir Luigi, si fosse esaurita.
Come se fosse terminata la cera che alimentava la fiamma.
Pensava che forse funzionava così: ciascun essere umano riceve, in dotazione, un quantitativo di amore da consumare, come se si trattasse di combustibile. L'intensità con cui il sentimento viene vissuto, ne determina la durata.
Loro due, malgrado quegli incontri radi, avevano vissuto fortemente ogni attimo, e lei questo non poteva negarlo.
Non aveva dimenticato nulla del coinvolgimento, fisico ed emotivo, che li aveva contraddistinti.
Ma, malgrado le cose all'apparenza fossero rimaste invariate, in lei era subentrata, sottile e subdola, la noia.
Aveva provato ad accennargliene, ma Luigi era sempre molto innamorato, e più lei si mostrava svogliata, più lui pensava che fosse un malessere legato al fatto che lo volesse tutto per sé, mentre non si era ancora deciso a lasciare la moglie.
Questa sua cecità, a Teresa, pareva insopportabile.

Squillò il cellulare. Era il segnale con cui indicava che era arrivato e la aspettava sotto casa.
Si infilò il cappotto, e nel farlo le si impigliarono i capelli nei bottoni.
Ci mise qualche minuto a liberarsi.
Poi, prese dal tavolo un pacco di salviettine umidificate, il coltello di tipo militare che aveva acquistato su internet, li mise in borsa, chiuse, al solito, con quattro mandate la porta di casa, e scese le scale.

venerdì 2 novembre 2007

guardavo il mondo da un oblò...



Io non sono mai stata
brava
a distinguere
tra la vita e la letteratura,
perciò
incappo in errori madornali.
Adesso voglio solo
uscire
da queste stanze all'apparenza vuote,
dove invece aleggi,
indiscusso e monumentale,
e guardare i venditori di crisantemi
vicino a casa mia.
Tra poco sarà tardi e ormai fa buio presto,
e girano maniaci per la strada.
Io avanzo disarmata,
ma ho voglia di stare fuori a lungo,
pure se non sarà liberatorio,
perché, lo sai,
perfino l'aria che respiro sa di te,
e nelle orecchie ho solo
ruggiti di leoni catturati
e vincolati alla cattività.

Rumori che mi straziano.

Molla la catena e
lasciami allontanare dal tuo raggio,
visto che sei convinto
di poterne fare a meno.
Io, invece, non ci credo affatto,
perché l'uncino è ben acuminato,
e noi due siamo simili
(io forse un po' più seria).

Però devo provarci,
e quello che spero di trovare
è un posto con l'ossigeno
e il verde necessario
a far sembrare tutta un'altra cosa
questo mio dramma in rosa
(che manco a raccontarlo ad un amico viene bene)
causato da parole riscaldate
e poi centrifugate
dentro la lavatrice che è il mio cuore,
solo che si è trattato
di un ciclo di lavaggio esagerato,
rispetto a quello di norma suggerito
sull'etichetta "capi delicati".

fitte



Rimarrò
sulle mie fondamenta
piantate nella sabbia,
in attesa
che una piena mi travolga.
Non farò più un passo,
amore mio,
nemmeno uno,
per tentare di salvarmi,
perché,
come è vero
che per me sei tutto quanto,
è vero pure che,
dei miei occhi,
riesci a fare senza,
mentre io, dei tuoi,
non posso fare a meno.

senza titolo



io mi allontano poco dal tuo raggio
e quando come le processionarie,
metto in fila un piede dopo l'altro
e faccio la mia strada,
non è in cerca di cibo
per il corpo.

giovedì 1 novembre 2007

il giorno d'ognissanti e il culto dei morti



mi piacciono le chiese
che sanno d'incenso,
il loro essere avvolte nel silenzio e
le prospettive del bramante
coi muri piatti che sembrano profondi.
mi piacciono i pavimenti a scacchi
le bifore dai vetri colorati.
mi piacciono
i marmi consumati,
gli affreschi e le assunzioni,
i demoni schiacciati,
i putti e le madonne addolorate.
mi piacciono le agiografie ritratte
tutti quei sacrifici di immolati,
uomini scotennati, uccisi e poi salvati,
le vite avventurose,
il dualismo tra l'istinto e la ragione,
l'aderire con fede a una passione.

mi piace
la candela con la cera che si scioglie
la prece e la speranza contenute in ogni fiamma
la grazia e l'umiltà di certi gesti,
le cripte e gli arcosolii,
la statua della santa senza volto,
san pietro e la ferita nella testa
l'esercizio del libero arbitrio e l'accoglienza,
le reliquie e lo stendardo del
risorto, le tre marie,
la croce ed il sudario.
il mistero della transustanziazione,
l'Essere uno e trino,
il Suo dover andare eppure stare,
andare eppure stare...
aver paura eppure stare...
quando senti
invisibile arrivare
quello spirito
che concilia la potenza con l'amore
e trovarselo lì
e guardarlo negli occhi
e poterlo chiamare per nome.

(mal)umori



l'acqua è indispensabile alla vita
e gli interstizi
sono fatti per raccoglierla.

i muri a trasudarla.

io vivrei benissimo
incastrata
tra una parete e te.

non sono le lacrime che
nuocciono a un sistema
di ecologie delicate.

quelle fanno parte del gioco.

c'è che se fossi un replicante
non piangeresti
e invece...

adesso
sai di sale.

assunta



ogni giorno
tu
mi togli il fiato
e me lo restituisci
ossigenato
e riesci a essere immenso
o a farti piccolo
da stare nel palmo di una mano,
come adesso,
che ti sto accarezzando con un dito
e seguo il tuo profilo
irto e piano
come se fosse l'unico obiettivo,
e ascolto la tua voce
quando tace
e ancora sento i fischi e forte
il suono
che provocò la polvere da sparo,
perché
la prima volta che ti ho visto
contrabbandavo bronzo
e tu forgiavi,
su commissione,
palle per un cannone
ottomano...
per questo c'è una torre saracena
nel panorama occulto dei tuoi sogni,
e quello che è accaduto a tutti e due,
io lo ricordo solamente in parte,
e porto le ferite,
ma tu ce l'hai presente,
e questo rappresenta
motivo sufficiente
per cui
non c'è occorrenza
ch'io salga quei gradini
che portano da terra
al terzo piano
perché noi ci incontriamo
molto più in alto
e molto più vicino...