domenica 13 gennaio 2008

lettera di una statuetta d'avorio al suo elefante imbalsamato per celebrare i tempi che furono e quelli che li aspettano.


non dipende da chi frequento, ma da me: se pure una serata piacevole trascorsa tra amici lascia un buon ricordo, due a breve distanza già mi seccano, e tre faccio fatica a reggerle.
non valgono quanto la soddisfazione che regala all'anima mia mezza pagina scritta bene, o la disperazione di una giornata in cui le parole non vengono e dentro si forma un groppo che lì rimane fino a quando non trovo il modo di metterlo nero su bianco.
così non si vive, e facciamo del male a chi ci sta attorno...presenti/assenti, sempre con la mente altrove, e gli altri se ne accorgono.
tornare a casa a fare il topo davanti a uno schermo, questo è.

mi piacerebbe avere ambizioni come la maggior parte: un matrimonio, dei figli, una casa, le vacanze, preparare la cena, scegliere cosa guardare in tv, fare compere assieme...in fondo sono stata educata a questo.
ma nel momento stesso in cui lo penso, so che non mi toccherà in sorte, forse perché non ne sarei capace.
io sono la schiava di chi mi lascia libera.
la scrittura mi lascia libera.
tu, poi, non ne parliamo...

mi trovo a leggere le lettere di Flaubert a Louise Colet, e nelle corrispondenze c'è la sua poetica e il rapporto totalitario con la scrittura, prima che la relazione con la donna. lettere bellissime e veementi, molto dettagliate e in cui mi specchio.
ma, seppure la malattia sia la stessa, il punto di partenza suo è l'arte per l'arte, il mio sono gli uomini.
è loro che cerco di comprendere e descrivere: l'animo umano e i misteri che lo regolano. in una forma decente, certo, e guidata sempre dalla compassione (in senso etimologico) che regola l'amore, perché conosco dove arriva lo spiegamento della sua potenza, pure se romantica non sono.
eppure ho pochi scritti che possano definirsi in sé compiuti...
e mi addolora, perché penso che rincorro qualcosa di cui non sono capace.
ma sto sempre qui, come il calciatore agli allenamenti, consapevole che pure i più talentuosi devono perfezionare la tecnica, figuriamoci io; sto qui come il giardiniere che ogni giorno cura le piante per vederle belle e rigogliose; sto qui togliendo tempo al sonno e a chi mi vuole bene; sto qui come l'uomo di fede che sappia che, pure se incrollabile, questa quotidianamente va nutrita.

sento che senza Dio soprattutto sarei persa.
immagino che Dante pregasse prima di scrivere e chiedesse a quello di illuminarlo, e quello lo illuminava.
a me mi illumina talvolta.

vorrei soltanto addormentare gli impulsi e narcotizzare la carne.
non sentire la necessità di una carezza o di scosse fin dentro le viscere, abituarmi all'assenza di tenerezza.
anni trascorsi senza la presenza materica di un amore vicino e corrisposto, perché probabilmente non sarei capace di farmelo bastare.
e per questo, negate mi sono le attenzione che vengono elargite in abbondanza a un qualsiasi gatto domestico.
e mi viene da chiederGli perché mi abbia generata così carnale, così bisognosa di tangibile, se poi questo non mi è dato.

oggi è una giornata umida e non voglio uscire, ma di luce e aria avrei bisogno.
non quella irrespirabile di questa città.
vorrei venire a guardare la collina che guardi tu, le strade irregolari che la solcano, il verde che la ricopre.
vorrei starti accanto paga solo della vicinanza, tenerti la mano stretta da poterne ricordare la consistenza e il calore,
perdermi nei tuoi occhi come colui che dopo un lungo viaggio veda in lontananza profilarsi la meta e in quella apparizione trovi il senso della sua fatica, più che nel raggiungerla.
vorrei baciarti di un bacio lungo che ci veda fusi rotolare all'incontrario, e dopo andare via, come è scritto nelle cose, consapevole che è questo allontanarci, ciò che non ci farà perdere. pure se non è detto, amore mio.

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